Dinanzi alle Terme di Caracalla – 2
Se ti fur cari i grandi occhi piangenti
e de le madri le protese braccia
te deprecanti, o dea, dal reclinato
capo de i figli:
se ti fu cara su ‘l Palazio eccelso
l’ara vetusta (ancor lambiva il Tebro
l’evandrio colle, e veleggiando a sera
tra ‘l Campidoglio
e l’Aventino il reduce quirite
guardava in alto la città quadrata
dal sole arrisa, e mormorava un lento
saturmio carme);
Febbre, m’ascolta. Gli uomini novelli
quinci respingi e lor piccole cose:
religioso è questo orror: la dea
Roma qui dorme.
Poggiata il capo al Palatino augusto,
tra ‘l Celio aperte e l’Aventin le braccia,
per la Capena i forti omeri stende
a l’Appia via.
Giosue Carducci – da Odi barbare