I racconti di
Sherazad – da Le mille e una notte
Storia dei tre Calender, figli di re, e di cinque dame di Bagdad – 3
- Signore, – riprese il facchino, – mi è bastato il
vostro aspetto per farmi giudicare che siete persone di rarissimo merito; e mi
accorgo di non essere sbagliato. Sebbene la fortuna non mi abbia elargito beni
sufficienti per elevarmi a una professione superiore alla mia, ho ugualmente
coltivato il mio spirito come ho potuto, con la lettura di libri di scienze e
di storia; e permettetemi, vi prego, di dirvi che ho anche letto una massima di
un altro autore che ho sempre felicemente praticato: “Noi nascondiamo il nostro
segreto, essa dice, soltanto a quelle persone riconosciute da tutti per
indiscrete, che abuserebbero della nostra fiducia; ma non abbiamo nessuna
difficoltà a svelarlo ai saggi, perché siamo convinti che saprebbero serbarlo.”
Il segreto è con me così sicuro come se fosse in un gabinetto la cui chiave
fosse andata perduta, e la cui porta fosse ben sigillata.”
Zobeide riconobbe che il facchino non mancava di
spirito; ma, pensando che volesse partecipare al banchetto che esse volevano
offrirsi, replicò sorridendo:
“Voi sapete che ci apprestiamo a banchettare; ma
sapete anche che abbiamo fatto una spesa considerevole, e non sarebbe giusto
che voi foste della partita senza contribuirvi. – La bella Safia sostenne
l’opinione della sorella. – Amico mio, – disse al facchino, – non avete mai
udito dire quel che si dice abbastanza comunemente? “Se portate qualche cosa,
sarete qualche cosa con noi; se non portate niente, ritiratevi con niente!”
Il facchino, nonostante la sua retorica, sarebbe forse
stato costretto a ritirarsi imbarazzato, se Amina, prendendo risolutamente le
sue parti, non avesse detto a Zobeide e a Sofia:
“Care sorelle, vi scongiuro di permettergli di restare
con noi: non c’è bisogna di dirvi che ci divertirà; vedete bene che ne è
capace. Vi assicuro che, senza la sua buona volontà, la sua agilità e il suo
coraggio nel seguirmi, non sarei riuscita a fare tante compere in così breve
tempo. D’altra parte, se vi ripetessi tutti i complimenti che mi ha rivolto
durante il percorso, il fatto ch’io lo protegga non vi stupirebbe molto.”
A queste parole di Amina, il facchino, in un impeto di
gioia, si lasciò cadere sulle ginocchia, baciò la terra ai piedi di quella
graziosa dama, e rialzandosi le disse:
“Mia amabile signora, oggi avete dato inizio alla mia
felicità; ora la portate al colmo con un’azione così generosa. Non posso
manifestarvi come vorrei la mia riconoscenza. D’altronde, signore, – soggiunse
rivolgendosi alle tre sorelle, – poiché mi fate un così grande onore, non
crediate ch’io ne abusi e pensi di meritarlo. No, mi considererò sempre come il
più umile dei vostri schiavi. – Dette queste parole, fece per restituire il
denaro che aveva ricevuto; ma la seria Zobeide gli ordinò di tenerlo. – Quello
che è uscito una volta dalle nostre mani, – disse, – per ricompensare coloro
che ci hanno reso servigio, non vi rientra più. Acconsentendo che voi restiate
con noi, vi avverto che, non soltanto lo facciamo a condizione che voi serbiate
il segreto che esigiamo da voi; pretendiamo anche che osserviate strettamente
le regole della convenienza e dell’onestà.”
Mentre così parlava, la bella Amina si tolse l’abito
di città, sollevò la veste legandola alla cintura per agire più liberamente, e
preparò la tavola. Ella servì parecchie qualità di cibi, e mise sopra una
credenza bottiglie di vino e coppe d’oro. Fatto ciò, le dame presero posto e
fecero sedere accanto a loro il facchino, soddisfatto oltre ogni dire nel
vedersi a tavola con tre persone di così straordinaria bellezza.
Dopo il primo boccone, Amina che si era seduta accanto
alla credenza, prese una bottiglia e una coppa, si versò da bere, e bevve per
prima secondo il costume arabo. Poi versò alle sorelle, che bevvero l’una dopo
l’altra; infine, riempiendo per la quarta volta la stessa coppa, la offrì al facchino.
Questi, nel prenderla, baciò la mano di Amina e, prima di bere, cantò una
canzone il cui senso diceva che come il vento porta con sé il buon odore dei
luoghi profumati per i quali passa, così il vino che stava per bere, venendo
dalla mano di Amina, aveva un gusto più squisito del solito. Questa canzone
rallegrò le dame, che cantarono a loro volta. La compagnia fu, insomma, di
ottimo umore per tutto il pranzo, che durò molto a lungo e fu accompagnato da
tutto quanto poteva renderlo piacevole. Continua domani.