Un commento alla Poesia di Carlo Porta “La nomina del Cappellan”
In questo brano del Porta la satira è amara: ci fa pensare al Parini del Giorno ma con una diversa coscienza morale e civile. Per Parini la nobiltà era ancora la vera classe dominante ed egli ne lamentava i vizi proprio perché non si addicevano a chi doveva dirigere la società; per il borghese Porta nobiltà e clero sono ormai classi parassitarie e non esercitano su di lui alcun fascino, al contrario gli si rivelano nel loro egoismo e nella loro meschinità. La denuncia non è aperta, la condanna non viene espressa direttamente dal poeta, ma attraverso le condizioni che il maggiordomo, portavoce della marchesa, detta agli aspiranti: ecco il vero volto della aristocrazia ricca, vuota, che gioisce nell’umiliare gli altri, ed ecco il vero volto del clero i cui interessi materiali feriscono profondamente la sincera religiosità portiana.
D’altronde la satira contro il clero raramente è ateistica, in genere viene esercitata proprio da chi ha una sincera fede religiosa e non sopporta comportamenti interessati e gretti in chi dovrebbe seguire gli insegnamenti del Vangelo. E quindi il poeta si impegna qui civilmente a denunciare piccoli vizi, piccoli peccati che però sono la causa di più grandi mali; ed uno dei mali peggiori è per lui la mancanza di religiosità. Egli pone, così, sul piano del quotidiano, che è pur sempre nella storia, lo stesso problema che Manzoni pone sul piano più grandioso della morale e della storia.
Le condizioni stabilite dal maggiordomo dovrebbero fare andar via indignati i sacerdoti: essi invece pensano solo ai vantaggi materiali che potranno trovare a casa della nobildonna (pranzi abbondanti, conoscenze importanti, piccoli privilegi) e quando avviene la selezione spontanea dei concorrenti, è a causa del fatto che non sanno giocare a tarocchi o perché non se la sentono di portare a spasso la cagnetta, ma nessuno si indigna per dover dire la messa quando la marchesa è comoda o per doverla celebrare in un quarto d’ora.